Con sentenza del 28 marzo 2022, 6B_894/2021, il Tribunale federale ha ribadito un principio in ambito di reati sessuali, secondo cui in virtù della normativa vigente, la mancanza di assenso (a un atto sessuale) non è sufficiente per concretizzare il reato di stupro o di violenza sessuale. La vittima deve opporsi in maniera chiara con segnali inequivocabili che devono essere ben riconoscibili dall’autore del reato.

Nel caso in analisi, la ricorrente lamentava l’errata applicazione, da parte della Corte di appello e di revisione penale ginevrina, degli art. 189 e 190 del codice penale alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e della Convenzione del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul). La donna invocava in particolare l’applicazione dell’art. 36 della citata Convenzione di Istanbul, secondo cui qualsiasi atto sessuale non consensuale è punibile penalmente. Pertanto la ricorrente ha sostenuto che gli artt. 189 e 190 del Codice penale andavano reinterpretati in virtù del principio “sì significa sì”, ossia solo in presenza di consenso chiaro è possibile escludere il reato.

Ma il TF ha disatteso questo principio in quanto la citata Convenzione non crea diritti soggettivi di cui prevalersi. Per cui non è possibile un’interpretazione estensiva della normativa vigente ai principi della citata Convenzione, pena la violazione del principio di legalità.

Allo stato del diritto vigente, sotto il profilo soggettivo la violenza sessuale e lo stupro sono reati intenzionali. L’autore del reato deve sapere che la vittima non è consenziente o deve aver accettato questa possibilità. La consapevolezza di ciò che una persona sapeva, voleva, prevedeva o accettava è una questione determinante. In caso di coercizione sessuale, l’elemento soggettivo – prosegue la Corte – è dato quando la vittima manifesta segnali chiari e decifrabili di opposizione, riconoscibili dall’autore del reato, come il pianto, la richiesta di essere lasciata sola, la colluttazione, il rifiuto agli atti sessuali o il tentativo di fuga (consid. 3.1).

Dai fatti analizzati emergeva invero che la ricorrente non aveva né resistito alle avances dell’uomo né aveva espresso un chiaro e netto rifiuto. Anche se la sua passività fosse stata generata da un approccio dissociativo/passivo, l’imputato non l’avrebbe potuto rilevare, per cui l’elemento soggettivo del reato non è stato riscontrato, di conseguenza il ricorso è stato respinto.

Nota a cura di: Avv. Francesco Barletta